Le segnalazioni sono state tante, seguite sempre da rassicurazioni; l’indagine della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Catanzaro racconta però una realtà differente, nella trasformazione del mare di Montepaone in una discarica. Persone senza scrupoli, trattavano solo parzialmente i fanghi prodotti dalla lavorazione delle acque reflue, eludendo la normativa ambientale. All’indomani dell’operazione “Scirocco” che ha portato all’arresto di 18 persone, si analizzano i risvolti che si sono avuti nel comune della provincia di Catanzaro, nell’operato di un’organizzazione che, per ottenere più compensi e appalti in tutta la regione, abbatteva i costi di gestione, con manutenzioni fittizie e operazioni che presentano molte zone d’ombra.
Uno scenario che si svela pian piano agli inquirenti che nel 2020 arrivano al sequestro del depuratore di località Pasquali, che serve i comuni di Montepaone, Montauro, Petrizzi, Gasperina, Stalettì e parte di Soverato Nord. L’impianto diventa un’osservato speciale dai carabinieri forestali di Davoli che proprio da questa attività specifica, hanno allargato le indagini agli altri impianti gestiti dalla stessa ditta che aveva la responsabilità del depuratore montepaonese.
Sotto la lente di ingrandimento viene passato al setaccio l’appalto che il Comune aveva siglato con la società che si era aggiudicata la manutenzione per quasi 500 mila euro, oltre iva. Avrebbe dovuto garantire lo smaltimento dei fanghi e delle sabbie residuate del processo di depurazione e la manutenzione programmata.
L’impianto era autorizzato a scaricare le acque depurate nel torrente Beltrame, lo stesso in cui si sono denunciati pericolosi insabbiamenti e su cui per anni si sono avuti molti dubbi rispetto a sversamenti di materiale inquinato a mare.
Le origini della vicenda
Il nastro si riavvolge ad agosto del 2020 quando si effettua un primo sopralluogo nel depuratore in cui era stata attestata la mancata attività di filtro da parte della grigliatura con un conseguente scarico dei reflui da un cassone ubicato nell’impianto nel Beltrame. Purtroppo il primo di altri casi, attesteranno le verifiche successive.
Le indagini si focalizzano su un sistema non del tutto funzionante con gravi problemi alla dissabbiatura e disoleatura. Tutto questo alla base di un accumulo di inerti che doveva essere pulito a mano all’interno di un impianto in cui la denitrificazione non era effettuata. Qui si inseriscono però le frodi con falsi formulari che attestavano smaltimenti di rifiuti solo simulati. A fornire elementi più probanti le immagini delle videocamere installate per monitorare le operazioni di manutenzione da cui si risale ai trattamenti non completamente effettuati e all’usanza di bypassare l’impianto nella stagione invernale e autunnale, quando si azzerava il ciclo depurativo.
Gli indagati, spiegano ancora gli inquirenti, pienamente consapevoli delle disastrose condizioni in cui versava l’impianto, lo utilizzavano simulandone il funzionamento, in modo tale da provvedere allo smaltimento e al trasporto dei reflui e dei fanghi con modalità illecite.