Il titolo dell’incontro “Però parlatene” riprende una famosa esortazione di Paolo Borsellino a non arrendersi alla lotta alla mafia. L’amministrazione Comunale di Montauro la fa sua organizzando un evento che fa sedere al tavolo dei relatori rappresentanti politici, magistrati e testimoni di giustizia. Le loro storie di fondono e si incrociano attorno l’obiettivo comune di sovvertire una cultura basata sull’omertà e la remissione, recuperando il valore di giustizia e restituendo alla parola “rispetto” il suo significato più autentico. L’incontro introdotto dal sindaco Giancarlo Cerullo, da suo vice Antonio Schiavone e dal consigliere comunale Leo Aiello, parte dalla testimonianza di Gaetano Saffioti un imprenditore e testimone di giustizia che vive sotto scorta da 18 anni, da quando nel 2002 decise di denunciare la rete di ricatti e di estorsioni con cui da anni la ‘ndrangheta soffocava la sua azienda di movimento terra e calcestruzzi di Palmi, in provincia di Reggio Calabria. Un uomo che non cede al vittimismo e reclama la sua libertà Saffioti, di cui nella sala di “Palazzo Zizzi” riecheggiano le parole che diventano presto una lezione di vita “è più difficile convivere con la paura di avere rimorsi che con la paura di morire”. Nessun passo indietro rispetto alla scelta fatta di denunciare chi chiedeva di pagare il “pizzo” per l’uomo che segnala però anche le carenze di uno Stato ancora troppo assente per un imprenditore che ammette di aver partecipato a 1200 bandi pubblici e di non averne vinto nessuno e di cui è passata alla storia delle cronache locali l’impedimento , reso noto nell’anniversario del terremoto di Amatrice, di fare beneficienza quando ha tentato di mettere i propri mezzi a disposizione gratuitamente per intervenire nell’emergenza. Prova a dare una risposta alle sue parole il procuratore di Reggio Calabria Gerardo Dominjanni che invita pubblicamente l’imprenditore a prendere parte alle operazioni di demolizione di alcune opere abusive sequestrate dalla Procura di Reggio dando un possibile spiraglio che è quello a cui ambisce anche il procuratore di Vibo Camillo Falvo che esorta la Politica a trovare delle opportune soluzioni per rendere una prassi questo tipo di iniziativa. Si volta pagina con la storia di Vincenzo Chindamo, fratello di Maria l’imprenditrice scomparsa il 6 maggio 2016 davanti alla sua tenuta agricola a Limbadi, uccisa nell’ambito di uno specifico interesse del clan Mancuso all’acquisizione dei terreni della donna .
