Oggi abbiamo il privilegio di dialogare con una figura di spicco nel panorama dell’ingegneria e dell’architettura italiana, il Professore Enzo Siviero. Nato a Vigodarzere il 19 gennaio 1945, il Professore Siviero ha dedicato una vita intera alla progettazione di ponti e all’insegnamento delle strutture, contribuendo significativamente alla cultura della progettazione strutturale in Italia e nel mondo.
La sua carriera accademica ha avuto inizio con la laurea in ingegneria civile conseguita presso l’Università di Padova nel 1969. Da allora, ha insegnato Teoria e Progetto di Ponti presso l’Università Iuav di Venezia, dove ha ricoperto il ruolo di professore ordinario di Tecnica delle costruzioni. Il suo impegno nel mondo accademico non si è limitato all’insegnamento: nel 1989 ha fondato e tuttora dirige la rivista “Galileo”, un prestigioso giornale del Collegio degli ingegneri della provincia di Padova.
Il Professore Siviero non è solo un accademico di successo, ma anche un prolifico autore e progettista. Ha promosso numerose pubblicazioni, convegni e mostre, e ha guidato oltre settecento studenti nella stesura delle loro tesi di laurea in architettura, focalizzate sul rapporto struttura-forma. La sua visione progettuale unisce sapienza costruttiva e ricerca estetico-formale, una combinazione che ha portato alla realizzazione di numerosi ponti e viadotti sia in Italia che all’estero, opere che gli hanno valso diversi premi e riconoscimenti.
Oltre alla sua illustre carriera accademica e professionale, il Professore Siviero ha contribuito attivamente alla progettazione di infrastrutture innovative e ambiziose, come il progetto TUNeIT, presentato a Tunisi nel dicembre 2016, che prevede un ponte di 140 km per collegare la penisola tunisina di Cap Bon a Mazara del Vallo in Sicilia. Nel 2017, ha visto la realizzazione del ponte Flaiano a Pescara, un altro esempio della sua abilità progettuale.
Il suo contributo al mondo dell’ingegneria e dell’architettura è stato riconosciuto attraverso diversi premi e onorificenze, tra cui la Laurea honoris causa in architettura conferitagli dal Politecnico di Bari nel 2009 e il Premio Europeo Capo Circeo nel 2017, per il suo ruolo di progettista e teorico delle grandi infrastrutture che promuovono la vicinanza e comunanza sociale, economica e culturale dei popoli euro-mediterranei.
Attualmente, il Professore Siviero è membro onorario di RMEI – Réseau Méditerranéen des Ecoles d’Ingénieurs e ricopre il ruolo di Rettore presso l’Università ECampus, continuando a ispirare e guidare le nuove generazioni di ingegneri e architetti.
In questa intervista, avremo l’opportunità di esplorare più a fondo la sua visione e i suoi progetti, focalizzandoci in particolare sul suo approccio innovativo alla progettazione di ponti come collegamenti non solo fisici, ma anche culturali tra diverse nazioni.
Ingegnere Siviero, la sua carriera è stata contraddistinta da numerosi riconoscimenti per progetti di ponti di fama internazionale. Come nasce la sua passione per i ponti e come si è evoluta nel tempo?
In effetti, la mia carriera è stata segnata da una profonda connessione con il mondo dei ponti, che abbraccia una vasta gamma di tipologie. La verità è che, oltre ai ponti fisici, ai quali sono profondamente legato per il loro potere di lasciare un segno tangibile sul territorio e di trasformare il paesaggio, ho sempre avuto una grande affinità con il concetto metaforico del ponte.
La mia passione per i ponti ha radici antiche, anche se non posso identificare un momento preciso della sua nascita. Tuttavia, devo molto ai miei studenti, che durante le tesi di laurea hanno alimentato questa passione, trasformandola da un semplice desiderio a una realtà concreta e vissuta. Sono stato particolarmente affascinato dalla metafora del ponte, un tema che ho approfondito nel corso degli anni.
Per quanto riguarda l’architettura dei ponti e il loro rapporto con l’ingegneria e il paesaggio, ho sempre avuto una predilezione per l’intersezione tra architettura e strutture, un campo che è stato esplorato da figure eminenti come Pierluigi Nervi e Riccardo Morandi, tra gli altri. Questo interesse mi ha spinto a cercare di elevare la struttura del ponte da una semplice opera ingegneristica a un’opera d’arte, un oggetto di design che può essere apprezzato sia per la sua funzionalità che per la sua bellezza estetica.
Mi ha sempre affascinato l’idea di trasformare una struttura in un oggetto di architettura, qualcosa che l’uomo crea per sé stesso e per il piacere di contemplarla. In questo senso, il ponte può assumere diverse forme: può essere un elemento sobrio che si integra armoniosamente nel suo ambiente, oppure può diventare una vera e propria icona, una scultura su scala urbana. Un esempio di questo approccio è il ponte Ennio Flaiano a Pescara, un progetto che mi ha dato l’opportunità di esprimere la mia visione.
Inoltre, mi è stata data l’opportunità di realizzare molti progetti significativi, e con il passare del tempo, la mia ambizione di fare sempre meglio continua a crescere. Ma ciò che mi affascina di più è la promozione dell’eccellenza nella realizzazione di progetti. Credo che, come docente e come persona desiderosa di trasmettere conoscenza, non sia sufficiente solo sapere o saper fare; è fondamentale anche saper promuovere il fare bene. Questo approccio può essere applicato in vari ambiti, dalla ricerca alla didattica, alla professione.
Infine, credo che ci sia una certa “italianità” che permea il mio lavoro, una qualità che trova le sue radici nella storia e nei miti del nostro Paese, dai ponti romani ai progetti più recenti, che in molti casi hanno dimostrato una grande forza intellettuale, anche se forse non sono stati apprezzati quanto meriterebbero.
Da anni si parla del Ponte sullo Stretto di Messina. Secondo la sua esperienza e competenza, è tecnicamente fattibile costruire un ponte di tale complessità in quella specifica area geografica?
Il discorso riguardante la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina è diventato quasi un mantra nel nostro tempo. Purtroppo, ci sono molte persone che discutono di questo argomento senza una reale conoscenza di causa, proponendo affermazioni prive di fondamento tecnico, giuridico e procedurale. La realtà è che la fattibilità tecnica del ponte è stata confermata da almeno quindici anni. Chi sostiene il contrario è mal informato o non desidera informarsi, aderendo piuttosto a una sorta di “credo” che, purtroppo, ci regredisce di anni, se non di secoli.
La fattibilità tecnica del progetto è stata attestata dai migliori ingegneri del mondo, inclusi i progettisti della società di ingegneria danese COWI, che ha realizzato centinaia tra i ponti più importanti a livello globale, come l’ultimo ponte Čanakkale sui Dardanelli, che detiene il record mondiale con una luce di 2023 metri. Questa fattibilità è stata ulteriormente verificata da PMC Project Management and Consulting e dalla società Parsons Transportation, che ha ereditato il progetto originale ideato da Ellis Timeman negli anni ’50.
Inoltre, circa 10-12 anni fa, un comitato scientifico presieduto da Giulio Ballio, ex rettore del Politecnico di Milano, ha confermato la validità del progetto. Questo, unito alla validazione effettuata come previsto dalla legge sugli appalti, conferma che non esiste un ponte che sia stato studiato più a fondo di quello sullo Stretto di Messina. Il progetto definitivo, composto da oltre 8000 tavole elaborate, ha una valenza che si avvicina a quella di un progetto esecutivo.
Chi ancora sostiene che il ponte non sia fattibile, sinceramente, suscita solo compassione. Insomma, è meglio non preoccuparsi di loro, ma guardare avanti. Ora, finalmente, siamo a un punto di svolta: il comitato scientifico sta per essere costituito e la società COWI ha ripreso il progetto per conto di We Build (ex Impregilo) ed Euroconsort Eurolink. Nei prossimi mesi, non ci saranno più dubbi: entro la fine dell’anno, il comitato scientifico approverà il progetto e, nei mesi successivi del 2024, il progetto esecutivo sarà pronto per avviare i lavori veri e propri, probabilmente intorno a luglio, anche se la data esatta potrebbe variare.
Infine, è importante sottolineare che, se il progetto non fosse stato interrotto, un atto che io definisco “ponticidio”, il ponte sarebbe stato percorribile già da due o tre anni, con un significativo risparmio economico, dato che il costo dell’insularità ammonta a circa sei miliardi e mezzo all’anno. In pratica, il ponte si sarebbe pagato da solo in due anni.
Quali sono le principali sfide ingegneristiche che un progetto come il Ponte sullo Stretto di Messina pone? Ci sono particolari problemi legati alla geologia del terreno, alle condizioni meteo-marine o ad altri fattori?
In realtà, le sfide geologiche legate al progetto del Ponte sullo Stretto di Messina sono minime, poiché sono state affrontate e risolte con successo, inclusi eventuali problemi sismici. Qualche incertezza iniziale, soprattutto riguardo alle condizioni del vento, è stata pienamente risolta. Tuttavia, è frustrante notare che ci troviamo ancora a discutere questioni che sono state risolte circa 15 anni fa, una situazione che, purtroppo, riflette una certa mentalità italiana di opposizione sistematica, anche quando una soluzione è valida e funzionale.
Riguardo alle sfide ingegneristiche, è innegabile che la storia dell’ingegneria è costellata di sfide. La “febbre della grande luce” ha caratterizzato la storia dei ponti, specialmente negli ultimi tre secoli. Nel XIX secolo, abbiamo visto la costruzione di ponti ferroviari che superavano record di luce uno dopo l’altro, seguiti dall’era del calcestruzzo nel XX secolo. Ora, siamo tornati a materiali più tradizionali, principalmente per ragioni economiche, anche se sarebbe stato interessante vedere ulteriori sviluppi con ponti ad arco in pietra, come quelli realizzati in Cina.
La principale sfida ingegneristica del progetto è la realizzazione di un ponte con una luce di 3300 metri, una sfida che vedo simbolizzata nel mito di Scilla e Cariddi che finalmente cessano la loro eterna lotta. Questo rappresenta un’impresa ingegneristica senza precedenti, paragonabile, a mio avviso, allo sbarco sulla luna nel 1969. Nonostante le critiche di alcuni colleghi ben noti, credo fermamente che questa sfida sia ampiamente superabile.
Per quanto riguarda i problemi sismici, essi non rappresentano una preoccupazione significativa, dato che le due torri del ponte saranno costruite su terreno solido, garantendo una stabilità sismica adeguata. Inoltre, le fondazioni e i blocchi di ancoraggio sono stati progettati per affrontare le sfide geologiche specifiche della zona. Il principale problema iniziale era legato alle condizioni del vento, ma questo è stato risolto con l’introduzione di un design dell’impalcato “alare”, che riduce gli effetti del vento sul ponte.
Sul fronte della geologia, i principali problemi non riguardano tanto il ponte stesso, quanto alcune delle gallerie attraverso le quali passerà il ponte. Queste gallerie attraverseranno terreni difficili per diversi chilometri, ma l’Italia ha una lunga storia di insegnamento nel campo della geologia dei tunnel, quindi non sono particolarmente preoccupato per questo aspetto.
In termini di condizioni meteo-marine, dato che il ponte non toccherà l’acqua, non prevedo problemi significativi in questo senso. Forse la sfida costruttiva più significativa riguarda i cavi del ponte, che saranno di dimensioni notevoli e richiederanno tecnologie avanzate per la loro installazione, tecnologie che sono notevolmente progredite negli ultimi quindici anni.
In conclusione, credo che siamo pronti per affrontare e superare tutte le sfide che questo progetto comporta, a condizione che la politica e la burocrazia non ostacolino ulteriormente il progresso. La nostra capacità tecnica e la nostra creatività ci permetteranno, sono certo, di realizzare questo progetto ambizioso, portando avanti la tradizione italiana di eccellenza ingegneristica e innovazione.
In termini di rapporto tra costi e benefici, come valuta la costruzione del Ponte sullo Stretto? Ritiene che l’investimento possa portare vantaggi tangibili per l’Italia e per la Sicilia in particolare?
Entrando nella questione dei costi e dei benefici, ci troviamo di fronte a un aspetto quasi paradossale del progetto. Un’analisi condotta dalla Bocconi all’inizio degli anni 2010, più precisamente nel 2011, ha dimostrato in modo inequivocabile che il ponte sarebbe in grado di ripagarsi ampiamente. Questa valutazione non tiene conto solo dei pedaggi locali, ma soprattutto dei benefici indiretti che il progetto potrebbe portare.
Il valore dell’indotto del Ponte di Messina è incalcolabile, data la sua capacità di trasformare completamente la dinamica regionale, attirando investimenti significativi, a condizione che il progetto venga gestito in modo appropriato. Inoltre, non possiamo sottovalutare l’importanza del “brand” che un’opera di questa portata potrebbe creare. Un ponte record come questo avrebbe un’attrattiva simbolica enorme, generando un valore che va ben oltre gli aspetti puramente finanziari. Questo valore simbolico, sebbene possa avere una componente emotiva significativa, non può essere facilmente contestato.
Storicamente, sono le grandi opere infrastrutturali che trascinano con sé sviluppi minori, trasformando completamente il territorio circostante e, in alcuni casi, persino la mentalità delle persone locali. La “sicilitudine”, una sorta di identità culturale e storica della Sicilia, non verrà affatto diminuita da questo progetto. Al contrario, potrebbe essere rinvigorita, dando finalmente alla Sicilia e, in parte, anche alla Calabria, l’opportunità di decollare dopo decenni di stagnazione, contraddistinti da un flusso migratorio significativo.
Inoltre, dobbiamo considerare l’impulso economico che il progetto potrebbe generare, non solo durante la fase di costruzione, che durerebbe circa 7-10 anni, ma anche nel lungo termine. Il ponte potrebbe rivoluzionare il settore turistico della regione e migliorare significativamente i trasporti e la logistica nell’area del Mediterraneo, posizionando l’Italia come un hub centrale in questo contesto.
In sintesi, vedo un potenziale enorme per benefici tangibili derivanti dalla costruzione del Ponte sullo Stretto, che potrebbe segnare una nuova era di prosperità e sviluppo per l’Italia e, in particolare, per la Sicilia.
Spesso le diatribe ideologiche tendono a sovrastare le questioni tecniche. Come ritiene che si possa superare questa dicotomia e concentrarsi sulle reali esigenze ingegneristiche del progetto?
La costruzione di un ponte, come quello che si prevede di erigere sullo Stretto di Messina, va oltre una semplice opera ingegneristica; rappresenta un simbolo potente di unione, di connessione tra culture e individui, un atto d’amore che mira a costruire una comunità più coesa e interconnessa. Questa visione, che ha guidato il mio impegno per oltre un decennio, va oltre le mere questioni tecniche, toccando le sfere dell’evoluzione umana e della comunità.
Tuttavia, è essenziale che le discussioni su un progetto di tale portata non siano dominate da diatribe ideologiche, ma piuttosto focalizzate sulle reali esigenze ingegneristiche e sulle potenzialità che un tale progetto può portare. Per superare questa dicotomia, è necessario adottare una visione più ampia, che consideri non solo gli aspetti tecnici ma anche il potenziale di unire continenti e culture, creando un baricentro culturale ed economico che possa fungere da ponte tra il passato, il presente e il futuro.
L’idea di estendere questa connessione oltre lo Stretto di Messina, creando un collegamento fisso tra l’Africa e l’Europa, e proseguendo verso l’Albania e la Grecia, rappresenta una visione audace e visionaria che potrebbe trasformare radicalmente la regione. Questo progetto, che prevede un investimento significativo, potrebbe fungere da catalizzatore per lo sviluppo economico e culturale, creando una piattaforma logistica che potrebbe rivoluzionare le relazioni economiche e culturali tra questi continenti.
L’Africa, con le sue immense potenzialità e risorse, rappresenta il futuro, e l’Europa ha il dovere di sostenere e facilitare lo sviluppo di questo continente emergente. La creazione di un collegamento fisso tra questi continenti potrebbe servire come simbolo potente di questa nuova era di cooperazione e sviluppo.
Inoltre, la creazione di isole artificiali con vocazioni specifiche potrebbe servire come centri di ricerca e sviluppo, promuovendo la sostenibilità, l’energia e la sicurezza in tutta la regione del Mediterraneo. Questo progetto, che dovrebbe essere supervisionato da un’organizzazione internazionale come l’ONU o un organismo mediterraneo simile, potrebbe creare opportunità di lavoro significative e promuovere lo sviluppo economico a lungo termine.
In sintesi, per superare la dicotomia tra questioni ideologiche e tecniche, è essenziale adottare una visione più ampia e inclusiva, che consideri non solo gli aspetti tecnici ma anche il potenziale di creare un futuro più unito e prospero per la regione e per il mondo intero.
Nel contesto della sua visione “BRIDGING CULTURES AND SHARING HEARTS”, come si inseriscono i progetti TUNeIT e GRALBeIT nel quadro più ampio della costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, e come possono questi progetti servire come ponti tra nazioni e culture? Inoltre, quale messaggio vorrebbe trasmettere a coloro che rimangono scettici riguardo alla realizzazione di queste ambiziose infrastrutture?
In un’epoca in cui le divisioni sembrano prevalere, il mio impegno è rivolto a creare collegamenti tangibili che possano servire come simboli di unione e cooperazione. I progetti TUNeIT e GRALBeIT sono estensioni di questa visione, cercando di costruire ponti non solo fisici ma anche culturali tra diverse nazioni e culture.
Il progetto TUNeIT, che mira a connettere la Tunisia e l’Italia, e il progetto GRALBeIT, che punta a unire l’Albania e la Grecia, sono ambiziosi tentativi di promuovere una maggiore integrazione e comprensione tra le nazioni del Mediterraneo. Questi progetti, insieme al Ponte sullo Stretto di Messina, possono servire come catalizzatori per una nuova era di cooperazione e crescita condivisa nella regione.
Vorrei sottolineare che queste infrastrutture non sono solo monumenti ingegneristici, ma rappresentano una visione di un futuro in cui le barriere sono abbattute e le comunità possono interagire e crescere insieme in modo più armonioso. Sono simboli tangibili della nostra capacità di superare le divisioni e lavorare insieme per un futuro migliore.
Per coloro che rimangono scettici riguardo alla realizzazione di queste infrastrutture, il mio messaggio è uno di speranza e di fiducia nel potenziale umano. Credere in queste iniziative significa credere nella nostra capacità di costruire un futuro migliore, non solo per noi ma anche per le generazioni future. È una testimonianza della nostra capacità di sognare in grande e di lavorare insieme per realizzare quei sogni.
Invito tutti a guardare oltre le polemiche e le divisioni ideologiche e a concentrarsi sulle immense possibilità che questi progetti possono offrire. Sono una chance per rivitalizzare regioni che hanno tanto da offrire e per creare nuove opportunità di crescita e prosperità.
In conclusione, il mio messaggio è uno di ottimismo e di fiducia nel futuro. Credete nel potenziale trasformativo di queste infrastrutture, perché hanno il potere non solo di cambiare il paesaggio fisico, ma anche di unire le persone e le culture in modi che non avremmo mai immaginato. È un’opportunità per costruire un mondo più unito e cooperativo, dove le culture possono condividere e crescere insieme. Credete nel ponte, perché rappresenta una promessa di un futuro migliore, un futuro costruito su fondamenta solide di cooperazione e mutua comprensione.