In un mondo fatto di dubbi mascherati da certezze, ce n’è una che a Soverato resiste sopra ogni cosa: che ogni anno, in un giorno d’agosto, la città si fermerà. Non per stanchezza, ma per fede perché nella seconda domenica del mese più affollato dell’anno, l’appuntamento è con la “festa della Madonna a mare”. Così la chiamano gli abitanti della cittadina ionica che si concedono un momento di silenzio rumoroso, in cui i gesti diventano preghiere anche se non lo sanno. È il momento in cui la Madonna di Porto Salvo si riprende il suo mare e il cuore della sua gente in una scena che si ripete da oltre un secolo, eppure non invecchia. Come una carezza della nonna o un tramonto che ogni sera riesce a stupirci come fosse il primo. La statua esce dalla chiesetta dei pescatori, rinnovando una promessa fatta nel 1906 da un uomo che nella tempesta non si rivolse al caso, ma alla speranza. Il capitano Rocco Caminiti aveva chiesto alla Madonna di salvarlo. In cambio, le avrebbe costruito una casa.
Un affare d’altri tempi, in cui la fede aveva ancora il profilo netto di una stretta di mano. Oggi quella casa è ancora lì, in via San Martino, e ogni anno la Madonna esce in processione portata a spalla, attraversando le strade di Soverato fino al pontile.
Poi sale in barca, come un’antica regina e da lì guarda il suo popolo. C’è chi la segue via mare, chi dalla spiaggia, chi si tuffa per nuotarle accanto. Non per spettacolo, ma per bisogno. Per appartenere a qualcosa che non si può comprare, né misurare: una fede che sa di sale e di sudore, di mani giunte e di silenzi pieni. La chiamano “la festa della Madonna a mare”, ma non è solo una festa. È un atto di riconoscenza collettiva, un tuffo spirituale in cui si mischiano lacrime, risate, ricordi di chi non c’è più e promesse sussurrate al vento. È la certezza che almeno una volta l’anno, Soverato si ritrova. Non per guardare indietro. Ma per ricordarsi chi è. E andare avanti.