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Martina Guzzi “prima vittima in Italia degli airbag difettosi” della Takata: la relazione dei consulenti della Procura

Martina non sarebbe morta per i traumi dell’incidente, ma per un malfunzionamento del sistema di detonazione dell’airbag. Dopo due mesi dal tragico scontro che ha tolto la vita a Martina Guzzi, studentessa di lettere di 24 anni, è la relazione di un consulente della Procura che lega la sua morte a una causa differente da quella inizialmente ipotizzata.  

«Si esclude altra lesività traumatica riconducibile all’incidente in cui è rimasta coinvolta la signora Guzzi Martina- si legge nella relazione -dal punto di vista medico legale si può concludere che la sua morte sia in nesso di causalità diretta con un malfunzionamento del sistema di detonazione dell’airbag che, a seguito dell’urto, proiettava ad alta energia cinetica un corpo metallico con modalità di urto e lesività assimilabili a ferita d’arma da fuoco». 

La dottoressa Isabella Aquila, direttrice della Scuola di specializzazione di Medicina Legale e l’ingegner Roberto Arcadia, dell’Ufficio della Motorizzazione civile, confermano i sospetti iniziali del sostituto procuratore Saverio Sapia, primo a ipotizzare che il caso catanzarese sia connesso con lo scandalo  degli airbag mortali. Si tratta di quelli della Takata, casa costruttrice giapponese (fallita nel 2017) che rifornì le case automobilistiche di tutto il mondo di airbag difettati e potenzialmente mortali. 

A 15 anni dai primi incidenti, dopo campagne di richiamo che hanno allarmato milioni di automobilisti, dopo più di 400 feriti e 27 morti solo negli Stati Uniti, il caso di Martina apre il fronte dei decessi anche in Italia dove, secondo fonti non confermate ufficialmente, si conterebbero finora anche una quindicina di feriti.

Martina era alla guida dell’auto di proprietà del ragazzo il giorno in cui si è verificato l’incidente (causato dall’invasione nella sua corsia di marcia di un altro veicolo) quando nell’impatto sarebbe stato l’ airbag a investirla uscendo dalla sua sede” e dal gas che serve per farlo gonfiare. Il proprietario dell’auto aveva ricevuto una lettera di richiamo e aveva scritto alla casa automobilistica pochi giorni prima dell’incidente, dicendosi disponibile alle verifiche e all’eventuale cambio di airbag. «Ma da loro nessuna risposta» ha dichiarato il ragazzo ai magistrati. 

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